Gas, come funzionano allerta e piano di emergenza: centrali e fabbriche, cosa cambia- Corriere.it

2022-10-15 02:46:08 By : Ms. Jay Wong

Le ultime notizie sul governo e l’elezione del presidente della Camera

Sul tavolo del governo c’è un documento di 19 pagine firmato da Aurelio Regina, vicepresidente di Confindustria con delega all’energia, appena portato all’attenzione del Comitato tecnico di emergenza e monitoraggio del sistema gas del ministero per la Transizione ecologica. Dipinge lo «scenario avverso», al momento improbabile ma non impossibile, del blocco totale del gas dalla Russia. Se tra una settimana ripartirà il gasdotto Nord Stream 1 verso la Germania dopo i lavori di manutenzione e la rotta ucraina verso il punto di ingresso di Tarvisio non dovesse subire ulteriori riduzioni nei flussi questo scenario verrebbe scongiurato. Rimarrebbe l’attuale stato di «pre-allerta». Proseguirebbe l’attività di riempimento degli stoccaggi, seppure a prezzi molto alti e garantita da risorse pubbliche, e non s’imporrebbero piani di razionamento. Se Mosca invece dovesse decidere di chiudere i rubinetti l’associazione degli industriali ha informato il governo dei costi e delle priorità da adottare per ridurre la domanda di metano di alcuni settori preservando il più possibile la tenuta del sistema, incorporando però un’ovvia flessione delle attività e una probabile recessione nell’ultimo trimestre dell’anno . Ci sono alcuni impianti che possono rientrare nella categoria degli «interrompibili volontari», procedura che teoricamente si può adottare in inverno quando si osservano dei picchi di domanda trainati dai consumi dei riscaldamento per uso civile. Le aziende verrebbero incentivati a tagliare tramite dei premi attribuiti col meccanismo delle aste. Ci si ferma 3-5 giorni, si bloccano le attività, ma lo Stato rimborsa a mo’ di compensazione (ecco invece il piano di emergenza per case e uffici).

I possibili destinatari di questa misura potrebbero essere le acciaierie alimentate a gas. Al netto dell’ex Ilva, che è un impianto a ciclo integrale e dunque non può essere fermato, «oltre l’80% degli impianti di produzione è rappresentato da forni elettrici che non hanno impedimenti tecnici ad un arresto/spegnimento, salvo la necessità di una rampa di discesa di alcuni giorni per finire i cicli», recita il documento. Va da sé che tutto il settore non possa essere fermato. Perché «fornisce la materia prima a tutta l’industria manifatturiera: vorrebbe dire fermare l’industria meccanica e quindi tutta la filiera a valle spaziando dall’auto fino all’alimentare». Nel settore del cemento si potrebbe ridurre la domanda modulando gli interventi. Pur non essendo il gas un combustibile direttamente impiegato nella produzione del clinker — il semilavorato prodotto nel forno da cemento — «è usato per il preriscaldamento di combustibili liquidi». La mancanza di gas per oltre 3 giorni potrebbe compromettere la produzione dei cementi con l’impossibilità di fornirli ai clienti. Una pianificazione oculata, registra Regina, «potrebbe però minimizzare questo problema».

Per le vetrerie l’interruzione delle forniture di gas sarebbe un grosso problema. «Comporterebbe la definitiva chiusura delle industrie del vetro, caratterizzate da un processo produttivo “a ciclo continuo” e non interrompibile». La peculiarità del processo produttivo fa sì che una volta arrestato, il forno debba essere ricostruito con costi e tempi insostenibili. Il vetro svolge un ruolo chiave nell’alimentare e nelle catene di approvvigionamento medico e farmaceutico (i flaconi per vaccini). Dunque non è sacrificabile.

Intervenire nella filiera dei beni primari è rischioso ma si può ragionare su alcuni razionamenti. Confindustria però invita il governo a ridurre il minimo i disagi delle fabbriche per l’aspetto psicologico di «preoccupazione che i cittadini vedono proprio nella carenza di beni alimentari, interpretandola come segno di crisi». Il nodo principale è che molte aziende hanno investito negli anni passati nella cogenerazione, che non possono funzionare senza gas.

Per questo settore dal punto di vista tecnico non ci sarebbero impedimenti allo stop degli impianti. La riduzione dovrebbe «essere graduale e avvenire in un arco temporale di almeno 48 ore così da poter fermare gli impianti in sicurezza ed evitare danneggiamenti ai macchinari», recita il documento.

I razionamenti invece sarebbero meno impattanti se venissero ridotti i consumi civili. Che nei giorni di picco invernale possono toccare i 141 milioni di metri cubi, più del doppio della domanda industriale. Dice Regina che «appare essenziale non fermare o ridurre la produzione industriale senza aver prima adottato misure volte a contenere i consumi del settore civile. La diminuzione di 3°C della temperatura massima dei sistemi di riscaldamento, determinerebbe un risparmio di circa 30 milioni di metri cubi al giorno di gas, pari a quasi il 50% del consumo industriale». Anche il settore commerciale, dunque negozi ed uffici, dovrebbe fare la sua parte «attraverso il corretto utilizzo del sistema di riscaldamento». Per questo Confindustria chiede «un censimento delle fabbriche e degli impianti che sarebbero esonerati dalla riduzione dei consumi». L’ipotesi è ragionare sui codici Ateco.

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di Massimiliano Jattoni Dall’Asén

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