DATALAB. Crisi del gas: speciale Italia

2022-10-15 02:43:22 By : Mr. jim wong

Al 10 ottobre, gli stoccaggi di gas in Italia hanno raggiunto circa 16,6 miliardi di metri cubi (Gmc), pari a un riempimento del 93% . Ciò permette di soddisfare al massimo circa il 31% dei consumi invernali (ma solo a patto di utilizzare del tutto le riserve strategiche nazionali, che coprono circa l’8% dei consumi): la restante parte, ovvero il 69%, dovrà essere coperta con importazioni (65%) e produzione nazionale (4%) .

Il grafico qui sopra rappresenta diversi scenari di quello che potrebbe accadere in Italia da qui a fine aprile, con il relativo livello di stoccaggi che raggiungeremmo. Sono però necessarie due premesse. La prima è che, se gli stoccaggi si riducessero troppo, i prezzi del gas tenderebbero ad aumentare, facendo abbassare i consumi e riducendo così il ritmo di riduzione degli stoccaggi, che più difficilmente andrebbero verso lo zero. Tuttavia, includere scenari ‘estremi’ di questo tipo permette di avere un’idea delle dimensioni della sfida affrontata dall’Italia. La seconda premessa è che, in nessun caso prima di oggi , l’Italia è arrivata a fine inverno con livelli di stoccaggio che intaccano le riserve strategiche nazionali, pari a 4,5 Gmc (l’8% dei consumi nazionali).

Qui sopra, nello scenario base (“baseline”) supponiamo innanzitutto che i consumi italiani invernali mantengano un calo del 5%. Malgrado il calo degli ultimi tre mesi sia più netto (–8,5%, si veda l’ultimo grafico di questo DataLab), riteniamo che non sia possibile considerare tale diminuzione come acquisita, perché i consumi di gas per riscaldamento (che compongono circa il 55-60% del totale invernale ) non hanno ancora cominciato a aumentare e questi ultimi tendono a essere meno flessibili rispetto al prezzo del gas di quelli industriali e termoelettrici. 

Supponiamo inoltre che il livello delle importazioni resti quello fatto registrare nelle ultime due settimane. In questo caso, a fine inverno gli stoccaggi raggiungerebbero un livello minimo di 2,6 Gmc, ovvero saremmo certamente costretti a utilizzare una parte consistente delle riserve strategiche italiane . E potrebbe persino andare peggio: in caso di totale assenza di gas inviato da Russia e Norvegia (Mosca a causa di chiusure volontarie; la Norvegia perché, in assenza di flussi dalla Russia, potrebbe dirottare il proprio gas verso i Paesi del nord-est europeo), i livelli degli stoccaggi italiani a fine inverno raggiungerebbero gli 0,2 Gmc, cioè sarebbero quasi totalmente vuoti. Infine, in caso di flussi come quelli odierni, ma di un inverno rigido (utilizziamo come riferimento le temperature medie fatte registrare nell’autunno-inverno 2017-2018), andrebbe persino peggio, con gli stoccaggi che finirebbero teoricamente “sotto zero” (-0,8 Gmc). In altri termini, il gas negli stoccaggi non sarebbe sufficiente .

Se invece l’Italia riuscisse a garantire risparmi di consumi di gas del 10% , si potrebbero evitare i guai peggiori: il livello minimo degli stoccaggi toccherebbe i 5 Gmc , appena sopra le scorte strategiche. Ma, anche in quel caso, un inverno rigido e/o un totale stop delle forniture da Russia e Norvegia ci costringerebbe a mettere mano alle riserve strategiche nazionali e, nei casi peggiori, ad esaurirle.

Per meglio comprendere l’importanza degli stoccaggi di gas naturale nel “sistema gas” italiano è utile tenere presente il loro ruolo nel soddisfare la domanda di gas nel corso dell’anno. Questa può essere divisa in due parti: una (piuttosto) fissa e una (molto) variabile .

Nella prima troviamo la domanda di gas del settore industriale (45 Mmc/g) e delle centrali termoelettriche (75 Mmc/g) . Per entrambe queste fonti, il consumo giornaliero può variare anche molto: per esempio le industrie lavorano meno nei weekend e durante le ferie estive, mentre il consumo delle centrali termoelettriche (ovvero a gas o a carbone) varia a seconda delle quantità di elettricità prodotta utilizzando altre fonti. Tuttavia, in generale questi consumi tendono a restare relativamente stabili nel corso dell’anno .

I consumi diretti di residenze, uffici e servizi s eguono invece un andamento profondamente stagionale: da un minimo di 20 Mmc/g nei mesi estivi, a un picco di 160 Mmc/g in quelli invernali, cioè quando il gas viene utilizzato per il riscaldamento.

A fronte di una domanda abbastanza mobile, abbiamo invece un’offerta piuttosto rigida . Le importazioni tendono infatti a restare relativamente costanti durante tutto l’anno. Soprattutto perché la produzione di gas, sia nazionale sia estera, non può essere facilmente aumentata o diminuita in corrispondenza degli andamenti stagionali, e le nostre importazioni su tubo immettono già quasi il massimo disponibile.

Gli stoccaggi, pertanto, non hanno solo una funzione di riserva strategica (quei 4,5 Gmc su 17 menzionati in precedenza), ma di bilanciamento stagionale per soddisfare la domanda di gas nei mesi più freddi.

Dall’inizio dell’anno fino a oggi, l’Italia ha ricevuto dalla Russia solo 10,3 Gmc, contro i circa 23,3 degli anni passati: un ammanco di ben 13 Gmc. Eppure, tra il 1 ° gennaio e l’11 ottobre 2022, l’Italia ha complessivamente ricevuto dall’estero 55,1 Gmc: quantitativi sostanzialmente identici ai 55 Gmc ricevuti nello stesso periodo dell’anno scorso. Sembrerebbe dunque che la crisi non sia stata quasi avvertita, con il nostro Paese che è stato in grado di rimpiazzare tutti i quantitativi di gas russo perduti grazie all’apporto di altri fornitori.

Tuttavia, proprio in questi giorni si avvertono i primi segnali di cedimento . Le opzioni di diversificazione utilizzate dall’Italia sono infatti al massimo di ciò che è tecnicamente fattibile (vedi sotto) ed è probabile che il nostro Paese riuscirà a importare tra ottobre e fine anno solo circa 15,5 – 16,5 Gmc. Nel 2021, tuttavia, nello stesso periodo l’Italia aveva importato 18,6 Gmc. Si tratta di un calo che varia dall’11 al 17% in tre mesi, destinata a prolungarsi sull’anno prossimo anche in caso i flussi dalla Russia o quelli dalla Norvegia non crollassero del tutto, e a peggiorare in caso contrario.

Se a ciò si aggiunge che, nell’autunno-inverno 2021/2022, le importazioni italiane erano già state inferiori alla domanda di gas , tanto che a marzo 2022 gli stoccaggi erano più vuoti rispetto alla media degli anni 2015-2019, si può ben comprendere la pressione a cui sarà sottoposto il nostro paese nel corso di questo anno termico.

Come detto sopra, malgrado la diminuzione delle forniture russe (-23 Gcm/a tra giugno e ottobre 2022, rispetto alla media del quinquennio 2015-2019) fino a oggi l’Italia è riuscita a mantenere costanti le importazioni di gas grazie a una relativa diversificazione dei fornitori . Fra l’apertura del TAP nel 2021 (+10,7 Gmc/a), l’aumento delle importazioni di GNL (+5,7 Gmc/a) e delle forniture algerine (+7,7 Gmc/a), l’Italia sembrerebbe essere riuscita a sostituire abbondantemente il deficit di forniture da Mosca.

A fronte di una ulteriore diminuzione delle forniture, tuttavia, le infrastrutture al momento disponibili non consentirebbero praticamente nessuna ulteriore diversificazione . Sia il gasdotto transadriatico (TAP) , sia i tre rigassificatori attualmente in funzione sono infatti utilizzati al massimo delle loro possibilità, o addirittura sopra la loro capacità massima nominale. E Golar Tundra , la nuova nave rigassificatrice da 5 Gmc/a acquistata da Snam per il 2023, non arriverà in Italia prima della metà dell’anno prossimo.

Inoltre, i due Paesi che avrebbero capacità di incrementare ulteriormente le proprie forniture non sembrano essere in grado di farlo, almeno nel breve periodo. Malgrado le richieste del governo italiano, infatti, le forniture algerine non sono in ulteriore aumento rispetto all’anno scorso (la crescita visibile nel grafico si riscontra solo rispetto al periodo 2015-2019). Così anche la Libia , in cui l'instabilità politica e i consumi interni in aumento rendono sempre più esigue le esportazioni.

Infine, le importazioni di provenienza europea, principalmente norvegesi , soffriranno verosimilmente della necessità di soddisfare la domanda tedesca e di altri paesi dell’Europa orientale (Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia). Complessivamente, c ’è dunque il rischio che i flussi di gas verso l’Italia diminuiscano ulteriormente anziché aumentare.

Ad oggi gli elevati prezzi energetici hanno già portato ad una diminuzione volontaria dei consumi . Consumi che negli ultimi tre mesi (tra luglio e settembre) hanno fatto segnare un –8,5% rispetto allo stesso periodo del 2021, con addirittura un –13% nel solo mese di settembre. Il calo è trainato principalmente dagli usi diretti dell’industria (-19,2% negli ultimi tre mesi), un settore con consumi stabili nel corso dell’anno e che nei mesi invernali assorbe solo l’11-13% della domanda totale.

Durante l’inverno, infatti, il 55-60% circa della domanda nazionale proviene dai consumi domestici, dei negozi e degli uffici . Per arrivare a primavera senza intaccare le riserve strategiche nazionali e prepararci a un secondo inverno probabilmente più duro di quello attuale (nel caso in cui i flussi russi venissero a mancare nel corso dell’intero 2023), potrebbe risultare necessario ridurre proprio i consumi di riscaldamento .

In quest’ottica, il Decreto Riscaldamento della settimana scorsa ha cercato di giocare d’anticipo, posticipando il periodo di accensione autunnale e riducendo le ore di possibile utilizzo dei sistemi di riscaldamento nell’arco della singola giornata. Tuttavia saranno solo i primi mesi di accensione dei sistemi di riscaldamento a darci un’indicazione effettiva di quanto gas gli italiani saranno capaci di risparmiare, o di quanto invece il calo dei consumi raggiunto in questi ultimi tre mesi (–8,5%) rischi di rivelarsi illusorio . Una situazione che potrebbe rendere necessari ulteriori interventi governativi.

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