Come e perché integrare la caldaia a condensazione con il solare termico | Articoli | Ingenio

2022-10-15 02:54:23 By : Mr. Xudong Li

L’integrazione di impianti solari termici con caldaie a condensazione costituisce ormai una tecnologia già ben consolidata che comporta ottimi vantaggi sia per l’utilizzatore che per l’ambiente, questo a patto di dimensionare correttamente l’impianto e prendere in considerazione vari accorgimenti ed eventuali criticità.

L’integrazione di impianti solari termici con caldaie a condensazione costituisce ormai una tecnologia già ben consolidata. L’impianto solare fornisce energia rinnovabile mentre la caldaia a condensazione permette l’integrazione dell’energia indisponibile dai collettori solari.

Questa soluzione impiantistica è più complessa di altre tecnologie ma comporta ottimi vantaggi sia per l’utilizzatore che per l’ambiente, questo a patto di dimensionare correttamente l’impianto e prendere in considerazione vari accorgimenti ed eventuali criticità. 

Per comprendere come i due sistemi interagiscano e quindi descriverne pregi e difetti, è opportuno analizzare singolarmente i due impianti in modo da poter identificare quali siano i benefici derivanti dalla combinazione delle due tecnologie.

Com’è ben noto, le caldaie a condensazione costituiscono un’ottima soluzione per la produzione di calore a medio-alte temperature. La gran parte dei vecchi impianti è caratterizzato da caldaie tradizionali in cui l’efficienza di produzione è limitata dai materiali costitutivi che non consentono la formazione di condense, in quanto l’acqua condensata a contatto con i gas di scarico contiene sostanze acide che hanno un effetto corrosivo sulle superfici metalliche non trattate.

Per tale motivo, nelle caldaie di tipo tradizionale il calore sottratto ai fumi si limita alla quota necessaria a raffreddare i gas di scarico fino ad una temperatura di circa 110°C 120°C. Sebbene sia noto che per la resa della macchina più è bassa la temperatura dei fumi maggiore è l’efficienza del generatore, nelle caldaie di tipo tradizionale i gas di scarico non possono mai avere una temperatura inferiore a 100°C, temperatura a cui si forma condensa sulle pareti interne della caldaia (scambiatore) e nella canna fumaria.

Nelle caldaie a condensazione i materiali con cui sono realizzati gli scambiatori interni al generatore sono in acciaio inox o di lega alluminio-silicio, per resistere sia alle alte temperature sia all’effetto corrosivo indotto dalle condense. Analogamente anche le canne fumarie sono realizzate con materiali in grado di resistere a sostanze acide e, per alcune applicazioni a basse temperature, possono essere in materiale plastico.

Nelle caldaie a condensazione, poter resistere alle condense significa poter recuperare un maggior calore dai fumi, infatti, di tutta l’energia termica generata con la combustione una quota consistente è contenuta nei gas di scarico; temperature più basse significano maggiore produzione termica e quindi maggiore efficienza.

Nello specifico, è possibile recuperare una quota maggiore di calore portando i fumi di scarico ad una temperatura di 60°- 80°C o anche meno in particolati condizioni, in questo modo oltre al recupero del calore sensibile, ovvero quello legato alla differente temperatura, è possibile recuperate anche il calore latente dell’acqua.

Figura 1 – Schema del principio di funzionamento di una caldaia a condensazione 

Da un punto di vista energetico, un miglior rendimento significa un minor consumo di combustibile, sia esso gas naturale o gasolio, e quindi minori saranno anche i costi in bollette e le emissioni in atmosfera.

Tuttavia, è necessario attenzionare alcune criticità:

Una caldaia a condensazione solitamente presenta un tiraggio “Assistito” ovvero richiede la presenza di un ventilatore che funzioni in pressione o depressione e spinga o aspiri i gas di scarico migliorando così la resa della macchina, senza non sarebbe possibile espellere i fumi e non si potrebbe garantire il corretto funzionamento della caldaia. 

Caldaia a condensazione: criteri progettuali e parametri di funzionamento

E' davvero possibile superare il 100% del rendimento per una caldaia? In questa trattazione vedremo quali sono i parametri che caratterizzano il funzionamento delle caldaie a condensazione e quali sono i principali criteri cui prestare attenzione durante la progettazione dell’impianto. Leggi l'articolo.

Il consumo elettrico di una caldaia a condensazione è superiore a quello di una caldaia tradizionale per via della presenza di un ventilatore, questo consumo è però di gran lunga compensato dal risparmio di combustibile ottenuto abbassando le temperature dei fumi. Con l’utilizzo di motori elettrici ad alta efficienza è possibile ridurre il consumo elettrico e al tempo stesso, grazie al tiraggio forzato, migliorare lo scambio termico dei fumi permettendo quindi l’utilizzo di scambiatori più compatti. I generatori che sruttano questa tecnologia possono essere più rumorosi di quelli tradizionali anche se, grazie ad alcuni accorgimenti messi in atto dai costruttori, si possono avere macchine compatte con un buon isolamento acustico e quindi un limitato impatto, soprattutto per installazioni interne agli appartamenti.

Esternamente l’ingombro delle caldaie a condensazione è simile a quello di una caldaia tradizionale e questo consente una facile sostituzione del vecchio apparecchio con uno a più alta efficienza.

Un prodotto del processo di combustione che non era presente nei vecchi generatori è la condensa. Nelle caldaie di tipo tradizionale era sufficiente prevedere un sistema di alimentazione ed uno di espulsione dei fumi mentre per caldaie a condensazione, oltre a quanto tradizionalmente presente occorre prevedere un sistema di scarico delle condense.

Si deve quindi prevedere sempre un sistema che permetta di raccogliere l’acqua prodotta dalla caldaia e un importante accorgimento può essere quello di prevedere un sistema di trattamento dell’acqua acida, questo per ridurne l’aggressività e preservare le tubazioni a valle della caldaia.

Le condense sono acide ma la loro aggressività è calmierata dalla diluizione con le altre acque di scarico, questo però avviene solamente quando si parla di grandi edifici o complessi abitativi, contrariamente le condense potrebbero costituire l’unico scarico in quel momento presente e quindi, soprattutto in vecchi impianti potrebbero danneggiare le tubazioni e causare perdite.

L’impianto a collettori solari si caratterizza per la presenza di pochi elementi chiave a cui si aggiungono una serie di apparecchiature che permettono il corretto funzionamento del sistema. In ogni impianto si trovano sempre i collettori solari, siano essi piani o sottovuoto, un sistema di accumulo, una pompa di circolazione e una serie di sensori per la regolazione dell’impianto. L’energia solare non è sempre disponibile quindi ogni impianto deve prevedere un sistema di back-up.

I collettori solari funzionano secondo un principio molto semplice: la radiazione solare colpisce una superficie captante la quale si scalda e a sua volta trasmette il calore ad un fluido termovettore.

Nel caso di pannelli solari piani, quelli più comuni ed economici, la superficie captante è costituita da un assorbitore selettivo alla quale va aggiunta una copertura in vetro temperato anti-grandine. Sopra o sotto la superfice captante, in base al costruttore, sono posizionali i tubi del circuito primario, ovvero il circuito nel quale viene fatto circolare il fluido da riscaldare, solitamente acqua glicolata. L’intero pannello e poi rivestito di materiale isolante in modo da minimizzare le perdite termiche verso l’esterno ed aumentare la resa del pannello stesso.

I collettori solari piani permettono la produzione di acqua calda fino ad una temperatura di 60° e la maggiore o minore produzione di energia dipende dalla disponibilità di radiazione solare e dalla temperatura dell’aria esterna.

I pannelli solari sottovuoto, garantiscono temperature di esercizio maggiori che si ottengono creando una superficie curva che convoglia la radiazione su una condotta del circuito primario in cui viene fatto scorrere un fluido vettore in grado di raggiungere fino a 160°C. La maggior resa di questi pannelli è data però dalla creazione di un volume “vuoto” attraverso il quale non si ha dispersione termica: più la superficie del pannello è calda, maggiore sarà la dispersione di calore verso l’ambiente esterno, sia per la differenza di temperatura che per gli effetti convettivi generati sulle superfici del pannello.

Per limitare tali dispersioni, la superficie di captazione ed il condotto con il fluido termovettore sono posti all’interno di tubi sottovuoto, da cui deriva il nome della tecnologia, in questo modo si rallenta la capacità di trasmissione del pannello stesso, le superfici a contatto con l’aria esterna non più fredde e quindi si hanno meno dispersioni.

Figura 2 – Collettori solari piani e sottovuoto

A differenza di quanto avviene nelle caldaie, nel caso di collettori solari, la produzione di calore non è definita dall’utenza ma dipende dalle condizioni climatiche. L’impianto produce calore sia che ci sia richiesta termica sia in caso di non utilizzo del calore e al tempo stesso non è detto che l’utilizzo di energia coincida con la sua disponibilità. Questo è il motivo per cui è sempre necessario un sistema di accumulo che consenta di immagazzinare l’energia quando è in eccesso e di sfruttare questa stessa energia quando invece non è direttamente disponibile. 

Per il corretto dimensionamento del sistema di stoccaggio si devono considerare diversi fattori, fra i quali il tipo di utilizzo che si fa del calore prodotto.

Tradizionalmente gli impianti a collettori sono dimensionati per la produzione di acqua calda sanitaria, in questi casi il parametro di progetto più importante è dato dai litri di acqua calda richiesti giornalmente, circa 50-80 litri a persona giornalieri.

L’impianto solare lavora su di un circuito ad esso dedicato, il fluido termovettore scaldato dai collettori, sia esso acqua o altro fluido adatto ad alte temperature, viene fatto circolare in una serpentina posizionata all’interno di un bollitore. Qui cede il proprio calore all’acqua del circuito sanitario per poi venir nuovamente indirizzata verso i collettori e ripetere il processo di “trasporto” dell’energia dai pannelli solari fino al sistema di accumulo.

Un accorgimento fondamentale per il corretto dimensionamento dell’impianto è quindi l’individuazione del volume di acqua da surriscaldare (ACS) e dell’energia di cui giornalmente ha bisogno l’impianto. In questi casi è bene non sovradimensionare il sistema a collettori perché produzioni di energia eccedenti al reale fabbisogno costituisco un problema in termini di calore da disperdere, contrariamente, se l’energia è insufficiente è sempre possibile integrare le carenze con un sistema di back-up.

Durante il periodo estivo, la maggior resa dei collettori è principalmente dovuta alle più elevate temperature esterne ed è proprio in questo periodo che un eccesso nella produzione potrebbe costituire un problema per l’impianto. Nel caso di utilizzo dei collettori per la produzione di acqua calda sanitaria uno degli accorgimenti più diffusi è quello di prevedere la copertura di una quota pari al 80-90% del fabbisogno durante il periodo invernale e quindi di adattare l’inclinazione dei pannelli per ottimizzare la radiazione solare di questo periodo (inclinazioni solitamente comprese fra 45 e 60 gradi sull’orizzonte).

Un’altra possibilità di utilizzo dei collettori solari è costituita dall’integrazione ai sistemi di riscaldamento, quest’ultima è però molto limitata e condizionata dal fatto che un impianto solare non si può “spegnere” durante il periodo estivo quindi il dimensionamento della superficie occupata dai pannelli deve essere fatta con un’attenta analisi dei costi e dei benefici.

In questi casi l’impianto è comunque dimensionato per coprire il fabbisogno di acqua calda sanitaria e, solamente se l’intero sistema di accumulo è saturo si può prevedere la cessione del calore anche al circuito di riscaldamento, condizione che si verifica di rado.

Un altro limite è poi dettato dalle temperature di esercizio dei due sistemi, l’impianto di produzione di acqua calda opera solitamente con temperature che non superano i 60-65°C mentre gli impianti di riscaldamento, se di tipo tradizionale a radiatori, sono progettati per funzionate a temperature superiori, non compatibili con il sistema a collettori solari.

In questi casi l’integrazione del sistema di riscaldamento può avvenire solamente prevedendo una riqualificazione dell’intero impianto di produzione del calore, il quale potrebbe essere troppo costoso. Diversamente, con impianti di riscaldamento a bassa temperatura, come quelli a pavimenti radianti, l’integrazione del fabbisogno termico da sorgente rinnovabile può essere una soluzione più praticabile fermo restando i vincoli di cui discusso pocanzi in termini di disponibilità ed economicità.

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